Abrogato il limite d’età per la direzione della Farmacia

Il comma 589 della Legge di Stabilità 2015  (Legge 190/2014) ha abrogato il limite d’età per la direzione delle farmacie private fissato al compimento dell’età pensionabile dal comma 17 del decreto legge 1 del 24 gennaio 2012.

Il limite posto dal Governo Monti aveva suscitato forti perplessità e legittime preoccupazioni tra i farmacisti titolari. Riteniamo che l’abrogazione della norma in questione sia da accogliersi con favore in quanto la sua applicazione avrebbe causato distorsioni nell’ordinamento, gravi disagi per tutti i soggetti interessati ed in particolare avrebbe comportato conseguenze catastrofiche per i titolari anziani delle farmacie di più modeste dimensioni.

Si riporta il comma 589 della Legge di Stabilità: L’articolo 11, comma 17, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e successive modificazioni, è abrogato.”

Intervista: Fallimenti, problemi di insolvenza, strumenti per uscire dalla crisi.

Fallimenti, problemi di insolvenza, strumenti per uscire dalla crisi. Farmacista33 ha incontrato un pool di commercialisti esperti di gestione della farmacia e di ristrutturazione aziendale (Alessandro Picinini, Fabio FurlottiMarco Del Bue, dottori commercialisti in Parma, e Dino MarcolungoFulvio Nuvoloni, dottori commercialisti in Verona) .

La contrazione del margine è emersa dalle molte analisi su vendite e fatturato dei farmaci, ma come commercialisti avete un punto di vista privilegiato per focalizzare il fenomeno. Qual è la vostra analisi?
È un fatto che la crisi economica non abbia risparmiato le farmacie italiane: negli ultimi anni il fatturato e il margine di guadagno sono andati costantemente diminuendo e le cause sono molteplici e comuni a gran parte delle farmacie. Prima fra tutte la sensibile riduzione del prezzo dei medicinali ceduti in convenzione – con una contrazione assai marcata del fatturato Asl – a cui si contrappone un impegno lavorativo che non è cambiato, come dimostra l’andamento pressoché costante del quantitativo di ricette “lavorate”. Quindi abbiamo ricavi in forte calo a fronte di costi rimasti come minimo inalterati.
Alla diminuzione dei prezzi si aggiungono il progressivo inasprimento degli sconti obbligatori nella distinta riepilogativa e un sempre crescente ricorso alla distribuzione per conto e alla distribuzione diretta. Non si può poi tralasciare la concorrenza da parte di parafarmacie e grande distribuzione.
Ma un punto critico è la liberalizzazione dei prezzi: spesso il farmacista si trova in difficoltà nel determinare il giusto prezzo di vendita, attuando a volte politiche commerciali troppo aggressive e commettendo errori, per inesperienza o superficialità, nel determinare il corretto margine di guadagno.

Che cosa succede in una situazione in cui le spese rimangono costanti mentre gli utili si riducono?
La diminuzione dell’utile alla lunga può ingenerare difficoltà finanziarie se i titolari non prestano la dovuta attenzione e qualora non siano in grado di porre in atto adeguate contromisure; ma difficoltà certamente maggiori le incontrano quelle farmacie che per varie ragioni già si trovano in situazioni di  eccessivo indebitamento.

Quali consigli per una migliore gestione della crisi?
In questo fosco scenario alcune farmacie sono riuscite a fronteggiare la crisi nel migliore dei modi: lo hanno fatto investendo in maniera oculata nel capitale umano oltre che nelle strutture e negli spazi per i servizi che sono sempre più richiesti a una moderna farmacia.

Nel bel mezzo della crisi economica, quali consigli date ai farmacisti titolari nell’ottica di prevenire situazioni di insolvenza?
Se la riduzione della spesa farmaceutica e la contrazione dei consumi hanno ridotto fatturati e marginalità, la stretta creditizia ha reso ancor più complessa la corretta gestione finanziaria della farmacia. È impossibile rispondere al quesito in poche battute, ma, tanto per cominciare, non è affatto un approccio semplicistico suggerire ai titolari di usare la massima attenzione nell’effettuare nuovi investimenti, nell’affrontare spese straordinarie e, soprattutto, nel prelevare denaro dai conti della farmacia per finalità personali. La nostra esperienza di commercialisti ci insegna che spesso il dissesto è causato da una insufficiente consapevolezza di quella che è la redditività della farmacia e dall’incapacità di misurare di conseguenza i prelievi. Prelievi eccessivi a lungo andare conducono inesorabilmente alla crisi finanziaria. Occorre affrontare questo tema con il proprio commercialista che, conti alla mano, è in grado di indicare il corretto comportamento da tenere.
Per coloro che intendono acquistare una farmacia, il primo suggerimento è quello di valutarne attentamente il prezzo e accertarsi di disporre di capitale proprio in misura sufficiente. Qualora, come accade nella maggior parte dei casi, si debba ricorrere a prestiti, è necessario prevedere con la massima prudenza i flussi di denaro che la gestione dell’attività sarà in grado di generare e valutarne la compatibilità con i piani di ammortamento dei finanziamenti.

Esistono strumenti che consentono di scongiurare l’eventualità di fallimento anche in caso di gravi, perduranti e conclamate difficoltà economico finanziarie?
Quando la situazione è compromessa e non è possibile correre ai ripari rivedendo le strategie aziendali, lo strumento migliore a disposizione dell’imprenditore che si trova ad affrontare così insormontabili difficoltà economiche e finanziarie è certamente il concordato preventivo. Il concordato, in sostanza, non è altro che un accordo tra un imprenditore in crisi e i suoi creditori (dipendenti, fornitori, banche e altri finanziatori, erario, e così via) circa le modalità con le quali dovranno essere gestite tutte le obbligazioni pendenti. L’obiettivo del concordato è quello di contenere il danno sociale ed economico del dissesto rispetto alle più gravi conseguenze derivanti dal fallimento.
Il concordato preventivo, disciplinato dall’articolo 160 e seguenti della Legge Fallimentare, è accessibile anche dalla farmacia gestita da persona fisica o condotta da una società di persone o da una cooperativa.
Il concordato è detto “liquidatorio” quando il piano, contenuto nella domanda di ammissione predisposta a norma dell’articolo 161 L.F., prevede la cessione dell’azienda farmacia e la contestuale proposta ai creditori di pagamento di una percentuale del loro credito con utilizzo delle somme realizzate dalla vendita.
Il concordato è, invece, detto “in continuità” quando nella suddetta domanda è previsto un piano di ristrutturazione pluriennale (normalmente tre anni) volto al risanamento economico e finanziario della farmacia in modo che la stessa, al termine del periodo programmato, sia in grado di provvedere al pagamento integrale o in percentuale dei propri creditori.
Infine, il concordato è detto “misto” quando il piano di ristrutturazione contempla anche la cessione della farmacia al termine del periodo di ristrutturazione. Tutti d’accordo i commercialisti che considerata la complessità delle decisioni da adottare e la molteplicità delle problematiche da affrontare sia prima sia durante la procedura, la scelta del concordato preventivo come strumento di soluzione della crisi economico e finanziaria di una farmacia dovrebbe essere condivisa con il proprio consulente e con professionisti esperti di ristrutturazione aziendale.

In un momento in cui sono in aumento le crisi aziendali e i fallimenti, è utile capire le conseguenze di questa situazione sui titolari, dal momento che la farmacia ha importanti differenze rispetto ad altre piccole medie imprese. In che forma può essere gestita la farmacia privata e quali rischi corre dal punto di vista patrimoniale il farmacista titolare o socio in caso di dissesto finanziario?
L’articolo 7, comma 1, della legge 362/1991 dispone che “la titolarità dell’esercizio della  farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata”.
Vista la natura commerciale dell’attività, la gestione delle farmacie può essere attuata mediante società lucrative di persone: si tratta di società in nome collettivo (Snc) oppure società in accomandita semplice (Sas).
I titolari individuali e i soci (anche accomandanti) delle menzionate società debbono essere tutti farmacisti iscritti all’Albo in possesso del requisito di idoneità previsto dall’articolo 12 della Legge 475 del 2 aprile 1968.
Le società di capitali (Srl e Spa) invece non possono essere titolari di farmacie private.
Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale, i titolari individuali rispondono illimitatamente con il proprio patrimonio alle obbligazioni sorte per l’esercizio di impresa. Stessa regola vale anche per i soci di Snc e i soci accomandatari di Sas dove per le obbligazioni sociali risponde in primis la società e solo in via sussidiaria risponde il socio qualora il patrimonio sociale sia incapiente. I soci accomandanti rispondono invece nel limite del proprio apporto.

Quali sono le conseguenze principali del fallimento per i farmacisti titolari in forma individuale e per i soci delle società di persone titolari di farmacia Snc o Sas?
In generale, la sentenza dichiarativa di fallimento determina per il fallito, sia esso persona fisica o una società, effetti giuridici, economici, personali e processuali i quali decorrono dalla data di pubblicazione della sentenza. Il fallito perde automaticamente la capacità di amministrare e disporre dei propri beni esistenti al momento della dichiarazione di fallimento: gli atti da lui compiuti e i pagamenti effettuati e ricevuti sono da tale momento inefficaci nei confronti di tutti i creditori, così come sono inefficaci le formalità necessarie per rendere opponibili ai terzi gli atti compiuti prima del fallimento (ad esempio sequestri, pignoramenti e iscrizioni ipotecarie) che si siano perfezionate dopo la dichiarazione dello stesso. Sotto il profilo degli effetti personali, il fallito persona fisica deve consegnare al curatore la propria corrispondenza (inclusa quella elettronica). Se invece l’impresa è esercitata in forma societaria, la corrispondenza diretta alla società è consegnata al curatore.
Il fallito ha anche l’obbligo di depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l’elenco dei creditori, entro tre giorni dalla dichiarazione di fallimento.
Sotto il profilo processuale, il fallito o l’amministratore della società fallita perde la capacità di stare in giudizio per le controversie relative ai rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento.
Nel caso specifico, il fallimento di una persona fisica o di una società di persone titolare di farmacia, determina a norma dell’articolo 113 del T.U.L.S., la decadenza dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia stessa. Per evitare che a seguito del fallimento venga dichiarata la decadenza dell’autorizzazione, il curatore deve procedere all’alienazione dell’azienda farmacia entro quindici mesi dalla dichiarazione di fallimento.
Normalmente con la sentenza dichiarativa di fallimento il Tribunale, contemperando il pubblico interesse con fine di conservare il valore dell’attività, dispone l’esercizio provvisorio dell’impresa, vale a dire la continuazione dell’attività della farmacia per tutto il periodo intercorrente tra la dichiarazione di fallimento e la sua alienazione.
Anche nel concordato preventivo viene proseguita l’attività così come di norma accade dopo il fallimento della farmacia.

Intervista di Francesca Giani (Farmacista33.it)

Come salvare la distribuzione del farmaco?

Ieri Farmacista33 ha pubblicato un nostro intervento in cui esponiamo considerazioni in merito alla crisi delle farmacie a pochi giorni dal fallimento di una farmacia nella nostra provincia. Riportiamo il testo leggibile anche nel sito di Farmacista33.

Egregio Direttore,

abbiamo letto l’articolo in merito alla vicenda della farmacia fallita nella provincia di Parma. Non possiamo che dispiacerci dell’accaduto. Il Vostro articolo rappresenta compiutamente la vicenda ed esprime considerazioni che speriamo possano essere utili a tutta la categoria dei farmacisti. É ormai necessario che la politica decida la direzione da prendere spogliandosi del preconcetto che il farmacista titolare sia un privilegiato dai facili guadagni.
Se è vero che vi sono anche farmacie particolarmente ben gestite, meglio posizionate di altre e particolarmente redditizie, purtroppo oggi ve ne sono moltissime che soffrono di gravi problemi economici e finanziari.
Colpa dei farmacisti? É anche possibile, in parte.
Ci domandiamo però cosa debbano fare questi farmacisti. Ci domandiamo se il loro lavoro è quello di professionisti oppure quello di imprenditori smaliziati, oppure di impiegati amministrativi o finanche di burocrati.
Pensiamo che se il sistema Stato vuole – o deve – beneficiare della loro professionalità, la risposta è evidente: debbono fare i farmacisti, la professione che è il naturale compimento del loro percorso formativo. É evidente che non è possibile che dalla categoria dei farmacisti, già piuttosto ristretta numericamente, si generino più di 16.000 persone (titolari) con capacità imprenditoriali tali da far fronte alle difficoltà di una crisi come quella attuale, con l’aggravante che dispensare farmaci per conto del servizio sanitario nazionale non porta più sufficiente profitto.
L’esasperazione della distribuzione diretta, la distribuzione per conto delle Asl ed il calo di marginalità sulla ricetta medica hanno assottigliato i margini delle farmacie in modo preoccupante e, in molte regioni, oltre il limite della sostenibilità.
Le contromosse di tanti farmacisti, speranzosi di far fronte a perdite di fatturato e di utili, non sempre sono adeguate e finiscono talvolta per peggiorare la situazione.
Per esempio, la generalizzata rincorsa all’adozione di orari di apertura allungati ha mediamente incrementato le spese – in particolare quelle per il personale – senza aumentare in proporzione il fatturato a livello aggregato e dunque ha ridotto ulteriormente i margini medi.
Se la politica ritiene che lo Stato debba ancora farsi carico della distribuzione territoriale dei farmaci, con la capillarità e l’efficienza garantite finora dal sistema farmacia a tutto beneficio della popolazione, ci pare necessario che si riconsideri urgentemente la necessità di rendere comunque economicamente sostenibile la gestione della farmacia.
Invece di affrontare i problemi che vi sono e che noi professionisti quotidianamente osserviamo, gli ultimi governi hanno solo reso più pesante una situazione già difficile.
Le “liberalizzazioni” pensate e messe in campo e molte delle novità normative degli ultimi anni aggravano i problemi delle farmacie; per contro i supposti benefici alla collettività ci paiono una chimera.
Ci pare che non vi sia stata alcuna vera liberalizzazione ed osserviamo un grande pasticcio. Se si impone alla farmacia di operare entro precisi confini territoriali e normativi, in considerazione del fatto che svolge un servizio pubblico erogato sulla base di un provvedimento di natura concessoria, bisogna altresì metterla nelle condizioni di guadagnare quanto basta affinché possa adeguatamente svolgere la propria funzione di pubblica utilità; sia che la farmacia si trovi in una sperduta sede di montagna, sia che si trovi in una sede del centro città gravata del costo di canoni di locazione ormai insostenibili.
Se non si affronteranno con serietà questi temi, i fallimenti saranno sempre di più, con grave danno dei farmacisti, del settore, del sistema farmaceutico e soprattutto a danno della collettività. A danno anche di chi ha legittimamente sperato e con convinzione spera nelle citate pseudo-liberalizzazioni e anche di chi si sta affannando per comprimere la spesa farmaceutica territoriale.
Con buona pace della miopia dei nostri amministratori, di fallimenti ve ne saranno ancora e non solo per colpa di farmacisti laureati, incolpevolmente incapaci di essere super-imprenditori. Il nostro non è e non vuole essere un ragionamento politico: queste considerazioni le proponiamo solamente da tecnici minimamente esperti del settore.
Di questi tempi, come professionisti, abbiamo il compito di fornire le nostre competenze tecniche per affrontare situazioni delicate e umanamente dolorose.
Ci auguriamo che l’evidente difficoltà del settore spinga chi di dovere a correre ai ripari.

Fabio Furlotti
Marco Del Bue

Proroga della “mini-IMU” al 24 gennaio 2014

Il comma 680 dell’art. 1 Legge di Stabilità per il 2014 (L. n. 147/2013) fissa al 24 gennaio 2014 la scadenza del versamento della cosiddetta “mini-IMU” relativa all’anno d’imposta 2013; il termine precedente era il 16 gennaio 2014.

Il versamento della “mini-IMU” sarà dovuto solo per gli immobili che hanno beneficiato della abolizione della seconda rata IMU siti Comuni che hanno deliberato incrementi delle aliquote ordinarie stabilite dalla legge:

– per la generalità degli immobili, allo 0,76%;

– per l’abitazione principale e relative pertinenze, allo 0,4%;
– per i fabbricati rurali ad uso strumentale, allo 0,2%.
– l’ammontare dell’imposta che risulta dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione, deliberate o confermate dal Comune per il 2013 in relazione ad abitazioni principali e relative pertinenze, ad unità immobiliari equiparate o assimilate all’abitazione principale, a terreni agricoli posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola e a fabbricati rurali ad uso strumentale;
– l’ammontare dell’imposta risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali per ciascuna tipologia di immobile.

L’imposta eventualmente dovuta è pari al 40% della differenza positiva tra:

Saldo Imu 2013, novità per l’assolvimento del versamento a saldo

Il prossimo 16 dicembre scade il termine per il pagamento del saldo Imu con conguaglio del precedente acconto. Numerose le novità (positive ma anche negative) contenute nell’ultimo Provvedimento del 30 novembre scorso.

A seguito dell’emanazione del DL 30 novembre 2013 n. 133 – c.d. “decreto IMU”, numerose sono le novità che caratterizzano gli adempimenti richiesti per l’assolvimento del versamento a saldo dell’IMU dovuta per il periodo d’imposta 2013.
Il provvedimento dispone infatti che, per il solo anno 2013, la seconda rata dell’IMU non è dovuta parzialmente con riguardo ad alcune tipologie di immobili, fra le quali le principali sono le seguenti:

  • l’abitazione principale e relative pertinenze, esclusi i fabbricati di maggior pregio classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9;
  • le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, nonché alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica;
  • la casa coniugale assegnata al coniuge in seguito ad un provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;
  • i terreni agricoli, nonché quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti nella previdenza agricola (vi è da segnalare a questo riguardo che, rispetto alle disposizioni che originariamente disciplinavano il versamento del primo acconto 2013, non sono più contemplati i terreni agricoli posseduti da altri soggetti che NON siano coltivatori diretti o IAP, i quali furono a giugno esclusi dall’ambito di applicazione dell’imposta).

Particolare rilevanza assume invece la (nuova) disposizione (art. 1, comma 1) che contempla gli immobili cd. “assimilati”, ai fini dell’IMU, all’abitazione principale in relazione ai quali è nella FACOLTÀ dei Comuni prevedere l’esclusione da imposizione IMU, esclusione che può essere totale o parziale.
Con riferimento all’esclusione parziale, infatti, è espressamente stabilito che, con riferimento a tali immobili, l’eventuale differenza tra l’ammontare dell’imposta risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione per ciascuna tipologia di immobile deliberate o confermate dai comuni per l’anno 2013 e, se inferiore, quello risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali per ciascuna tipologia di immobile è versata dal contribuente, in misura pari al 40 per cento, entro il 16 gennaio 2014.

Escludendo ovviamente quelli classificati nelle categorie catastali A/1, A/ 8 e A/9, gli immobili ammessi all’(eventuale) beneficio sono pertanto:

  • l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata;
  • l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata;
  • l’unità immobiliare e relative pertinenze concessa in comodato dal soggetto passivo dell’imposta a parenti in linea retta entro il primo grado che la utilizzano come abitazione principale.


Da FARMACISTA 33: Rubrica a cura dello studio Furlotti Del Bue e dello studio legale tributario Costa-Bianchi, Parma