Intervista: Fallimenti, problemi di insolvenza, strumenti per uscire dalla crisi.

Fallimenti, problemi di insolvenza, strumenti per uscire dalla crisi. Farmacista33 ha incontrato un pool di commercialisti esperti di gestione della farmacia e di ristrutturazione aziendale (Alessandro Picinini, Fabio FurlottiMarco Del Bue, dottori commercialisti in Parma, e Dino MarcolungoFulvio Nuvoloni, dottori commercialisti in Verona) .

La contrazione del margine è emersa dalle molte analisi su vendite e fatturato dei farmaci, ma come commercialisti avete un punto di vista privilegiato per focalizzare il fenomeno. Qual è la vostra analisi?
È un fatto che la crisi economica non abbia risparmiato le farmacie italiane: negli ultimi anni il fatturato e il margine di guadagno sono andati costantemente diminuendo e le cause sono molteplici e comuni a gran parte delle farmacie. Prima fra tutte la sensibile riduzione del prezzo dei medicinali ceduti in convenzione – con una contrazione assai marcata del fatturato Asl – a cui si contrappone un impegno lavorativo che non è cambiato, come dimostra l’andamento pressoché costante del quantitativo di ricette “lavorate”. Quindi abbiamo ricavi in forte calo a fronte di costi rimasti come minimo inalterati.
Alla diminuzione dei prezzi si aggiungono il progressivo inasprimento degli sconti obbligatori nella distinta riepilogativa e un sempre crescente ricorso alla distribuzione per conto e alla distribuzione diretta. Non si può poi tralasciare la concorrenza da parte di parafarmacie e grande distribuzione.
Ma un punto critico è la liberalizzazione dei prezzi: spesso il farmacista si trova in difficoltà nel determinare il giusto prezzo di vendita, attuando a volte politiche commerciali troppo aggressive e commettendo errori, per inesperienza o superficialità, nel determinare il corretto margine di guadagno.

Che cosa succede in una situazione in cui le spese rimangono costanti mentre gli utili si riducono?
La diminuzione dell’utile alla lunga può ingenerare difficoltà finanziarie se i titolari non prestano la dovuta attenzione e qualora non siano in grado di porre in atto adeguate contromisure; ma difficoltà certamente maggiori le incontrano quelle farmacie che per varie ragioni già si trovano in situazioni di  eccessivo indebitamento.

Quali consigli per una migliore gestione della crisi?
In questo fosco scenario alcune farmacie sono riuscite a fronteggiare la crisi nel migliore dei modi: lo hanno fatto investendo in maniera oculata nel capitale umano oltre che nelle strutture e negli spazi per i servizi che sono sempre più richiesti a una moderna farmacia.

Nel bel mezzo della crisi economica, quali consigli date ai farmacisti titolari nell’ottica di prevenire situazioni di insolvenza?
Se la riduzione della spesa farmaceutica e la contrazione dei consumi hanno ridotto fatturati e marginalità, la stretta creditizia ha reso ancor più complessa la corretta gestione finanziaria della farmacia. È impossibile rispondere al quesito in poche battute, ma, tanto per cominciare, non è affatto un approccio semplicistico suggerire ai titolari di usare la massima attenzione nell’effettuare nuovi investimenti, nell’affrontare spese straordinarie e, soprattutto, nel prelevare denaro dai conti della farmacia per finalità personali. La nostra esperienza di commercialisti ci insegna che spesso il dissesto è causato da una insufficiente consapevolezza di quella che è la redditività della farmacia e dall’incapacità di misurare di conseguenza i prelievi. Prelievi eccessivi a lungo andare conducono inesorabilmente alla crisi finanziaria. Occorre affrontare questo tema con il proprio commercialista che, conti alla mano, è in grado di indicare il corretto comportamento da tenere.
Per coloro che intendono acquistare una farmacia, il primo suggerimento è quello di valutarne attentamente il prezzo e accertarsi di disporre di capitale proprio in misura sufficiente. Qualora, come accade nella maggior parte dei casi, si debba ricorrere a prestiti, è necessario prevedere con la massima prudenza i flussi di denaro che la gestione dell’attività sarà in grado di generare e valutarne la compatibilità con i piani di ammortamento dei finanziamenti.

Esistono strumenti che consentono di scongiurare l’eventualità di fallimento anche in caso di gravi, perduranti e conclamate difficoltà economico finanziarie?
Quando la situazione è compromessa e non è possibile correre ai ripari rivedendo le strategie aziendali, lo strumento migliore a disposizione dell’imprenditore che si trova ad affrontare così insormontabili difficoltà economiche e finanziarie è certamente il concordato preventivo. Il concordato, in sostanza, non è altro che un accordo tra un imprenditore in crisi e i suoi creditori (dipendenti, fornitori, banche e altri finanziatori, erario, e così via) circa le modalità con le quali dovranno essere gestite tutte le obbligazioni pendenti. L’obiettivo del concordato è quello di contenere il danno sociale ed economico del dissesto rispetto alle più gravi conseguenze derivanti dal fallimento.
Il concordato preventivo, disciplinato dall’articolo 160 e seguenti della Legge Fallimentare, è accessibile anche dalla farmacia gestita da persona fisica o condotta da una società di persone o da una cooperativa.
Il concordato è detto “liquidatorio” quando il piano, contenuto nella domanda di ammissione predisposta a norma dell’articolo 161 L.F., prevede la cessione dell’azienda farmacia e la contestuale proposta ai creditori di pagamento di una percentuale del loro credito con utilizzo delle somme realizzate dalla vendita.
Il concordato è, invece, detto “in continuità” quando nella suddetta domanda è previsto un piano di ristrutturazione pluriennale (normalmente tre anni) volto al risanamento economico e finanziario della farmacia in modo che la stessa, al termine del periodo programmato, sia in grado di provvedere al pagamento integrale o in percentuale dei propri creditori.
Infine, il concordato è detto “misto” quando il piano di ristrutturazione contempla anche la cessione della farmacia al termine del periodo di ristrutturazione. Tutti d’accordo i commercialisti che considerata la complessità delle decisioni da adottare e la molteplicità delle problematiche da affrontare sia prima sia durante la procedura, la scelta del concordato preventivo come strumento di soluzione della crisi economico e finanziaria di una farmacia dovrebbe essere condivisa con il proprio consulente e con professionisti esperti di ristrutturazione aziendale.

In un momento in cui sono in aumento le crisi aziendali e i fallimenti, è utile capire le conseguenze di questa situazione sui titolari, dal momento che la farmacia ha importanti differenze rispetto ad altre piccole medie imprese. In che forma può essere gestita la farmacia privata e quali rischi corre dal punto di vista patrimoniale il farmacista titolare o socio in caso di dissesto finanziario?
L’articolo 7, comma 1, della legge 362/1991 dispone che “la titolarità dell’esercizio della  farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata”.
Vista la natura commerciale dell’attività, la gestione delle farmacie può essere attuata mediante società lucrative di persone: si tratta di società in nome collettivo (Snc) oppure società in accomandita semplice (Sas).
I titolari individuali e i soci (anche accomandanti) delle menzionate società debbono essere tutti farmacisti iscritti all’Albo in possesso del requisito di idoneità previsto dall’articolo 12 della Legge 475 del 2 aprile 1968.
Le società di capitali (Srl e Spa) invece non possono essere titolari di farmacie private.
Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale, i titolari individuali rispondono illimitatamente con il proprio patrimonio alle obbligazioni sorte per l’esercizio di impresa. Stessa regola vale anche per i soci di Snc e i soci accomandatari di Sas dove per le obbligazioni sociali risponde in primis la società e solo in via sussidiaria risponde il socio qualora il patrimonio sociale sia incapiente. I soci accomandanti rispondono invece nel limite del proprio apporto.

Quali sono le conseguenze principali del fallimento per i farmacisti titolari in forma individuale e per i soci delle società di persone titolari di farmacia Snc o Sas?
In generale, la sentenza dichiarativa di fallimento determina per il fallito, sia esso persona fisica o una società, effetti giuridici, economici, personali e processuali i quali decorrono dalla data di pubblicazione della sentenza. Il fallito perde automaticamente la capacità di amministrare e disporre dei propri beni esistenti al momento della dichiarazione di fallimento: gli atti da lui compiuti e i pagamenti effettuati e ricevuti sono da tale momento inefficaci nei confronti di tutti i creditori, così come sono inefficaci le formalità necessarie per rendere opponibili ai terzi gli atti compiuti prima del fallimento (ad esempio sequestri, pignoramenti e iscrizioni ipotecarie) che si siano perfezionate dopo la dichiarazione dello stesso. Sotto il profilo degli effetti personali, il fallito persona fisica deve consegnare al curatore la propria corrispondenza (inclusa quella elettronica). Se invece l’impresa è esercitata in forma societaria, la corrispondenza diretta alla società è consegnata al curatore.
Il fallito ha anche l’obbligo di depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l’elenco dei creditori, entro tre giorni dalla dichiarazione di fallimento.
Sotto il profilo processuale, il fallito o l’amministratore della società fallita perde la capacità di stare in giudizio per le controversie relative ai rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento.
Nel caso specifico, il fallimento di una persona fisica o di una società di persone titolare di farmacia, determina a norma dell’articolo 113 del T.U.L.S., la decadenza dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia stessa. Per evitare che a seguito del fallimento venga dichiarata la decadenza dell’autorizzazione, il curatore deve procedere all’alienazione dell’azienda farmacia entro quindici mesi dalla dichiarazione di fallimento.
Normalmente con la sentenza dichiarativa di fallimento il Tribunale, contemperando il pubblico interesse con fine di conservare il valore dell’attività, dispone l’esercizio provvisorio dell’impresa, vale a dire la continuazione dell’attività della farmacia per tutto il periodo intercorrente tra la dichiarazione di fallimento e la sua alienazione.
Anche nel concordato preventivo viene proseguita l’attività così come di norma accade dopo il fallimento della farmacia.

Intervista di Francesca Giani (Farmacista33.it)